Non passa giorno senza buone e cattive notizie sul fronte del clima. Soprattutto cattive. Ondate di calore estreme, piogge torrenziali, siccità prolungate… Tutto già spiegato e dimostrato dal 98% degli scienziati del clima: senza una riduzione drastica e rapida delle emissioni di CO₂ e altri gas serra causati dalle attività umane, l’Italia, l’Europa e il mondo stanno scivolando verso un cambiamento del clima strutturale e sempre più pericoloso.
“Lo sappiamo già, che noia…” penseranno molti. Appunto. È proprio questo il punto più inquietante: a fronte di disastri sempre più frequenti e costi economici crescenti – secondo il Sole 24 Ore, il 57% delle aziende a livello globale è già colpito direttamente dai cambiamenti climatici e la BCE inserisce il “degrado della natura” nella sua strategia monetaria – media e opinione pubblica non reagiscono abbastanza; e la politica dominata oggi da forze eco-scettiche anche per la flebile azione dell’opposizione, liquida ogni proposta con due parole: “follia” e “ideologia”.
Eppure segnali positivi ci sono. Un recente sondaggio Eurobarometro dice che per l’85% degli europei il cambiamento climatico è un problema serio. L’81% sostiene la neutralità climatica al 2050, e il 77% sa che non fare nulla costa più che agire. Altro che “lusso per pochi”: la gente comune ha capito che la transizione è necessaria e urgente.
Anche sul piano tecnico non mancano le buone notizie. Le energie rinnovabili stanno crescendo rapidamente. Le tecnologie per raffrescare e riscaldare le case senza gas, ridurre le bollette, migliorare la qualità dell’aria e delle acque avanzano di giorno in giorno. Progetti innovativi puntano su accumulo energetico, materiali riciclabili, riorganizzazione degli spazi urbani, impianti agrivoltaici che integrano agricoltura e solare. Tante industrie energivore, come acciaierie e cementifici, stanno investendo in processi più efficienti per restare competitive e occupare meno risorse.
Ma queste soluzioni non si diffondono da sole. Serve una regia politica, regole chiare, investimenti concreti, tempi certi. Altrimenti tutto resta confinato a pochi esperimenti isolati, senza impatto reale sulla vita delle persone e sull’ambiente.
In questo contesto si inserisce la proposta presentata dalla Commissione europea il 2 luglio, che modifica la Legge sul Clima del 2021: prevede di ridurre le emissioni del 90% entro il 2040 rispetto ai livelli del 1990. Non è un numero a caso: è il minimo necessario per affrontare la crisi con serietà e per arrivare alla COP30 in Brasile con credibilità. Ogni punto percentuale in meno equivale alle emissioni annuali della Danimarca. E a migliaia di morti premature evitate.
Ma il diavolo, come sempre, si nasconde nei dettagli. Per ottenere il consenso dei governi più riluttanti, la Commissione propone anche “scappatoie”, come la possibilità per gli Stati membri di compensare il 3% delle emissioni attraverso progetti fuori dall’UE. Un trucco già usato, che finora ha ridotto poco le emissioni e ha spostato altrove risorse preziose che servirebbero invece per la transizione in EU.
Ora la parola passa al Parlamento europeo e al Consiglio. Le prossime settimane saranno cruciali, perché si punta ad essere pronti per la COP30 in Brasile. Imprese e cittadini devono seguire da vicino questo processo. Perché ogni passo indietro, ogni frenata, ogni distrazione di risorse verso fossili, nucleare o tecnologie che non esistono ancora, costerà vite umane e miliardi.
Non è eco-terrorismo. È quello che cominciamo a vedere ogni giorno in TV e su internet. Un futuro che proprio non vogliamo e che possiamo ancora evitare.
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