Rinviare lo stop alle Euro 5: il trionfo dell’ideologia “tutto auto”

Articles 09 Jul 2025

Ieri il governo italiano ha approvato un emendamento che modifica le regole per il blocco delle auto diesel Euro 5, in particolare per le regioni del Bacino Padano. La decisione posticipa l'entrata in vigore del divieto di circolazione e introduce nuove flessibilità. Nello specifico, la data di partenza del divieto strutturale per le auto e i veicoli commerciali diesel Euro 5 viene spostata di un anno, dal 1° ottobre 2025 al 1° ottobre 2026. Inoltre, il blocco riguarderà in via prioritaria solo le aree urbane dei Comuni con oltre 100.000 abitanti, anziché quelli con più di 30.000 abitanti. Un punto fondamentale è che, a partire dal 1° ottobre 2026, le Regioni interessate potranno anche scegliere di NON introdurre affatto il blocco delle Euro 5 nei loro piani di qualità dell'aria, a condizione che adottino altre misure compensative altrettanto “efficaci nel ridurre l'inquinamento”, in linea con gli obiettivi europei. Questo significa che avranno la libertà di trovare vie alternative per raggiungere i medesimi risultati sull'aria pulita. Le Regioni mantengono comunque la facoltà di introdurre le limitazioni anche prima del 1° ottobre 2026, se lo ritengono necessario.

 

Questa scelta non sorprende. Da anni, l’Italia è in violazione sistematica delle norme europee sulla qualità dell’aria. La Corte di Giustizia ci ha già condannati tre volte per sforamenti su PM10, NO₂ e PM2.5, e nel marzo 2024 ha avviato una nuova procedura per il mancato rispetto dei limiti nel 2022 in ben 24 zone del Paese. Ma invece di correre ai ripari, si preferisce prendere tempo.

 

Eppure i numeri parlano chiaro: l’inquinamento atmosferico uccide. Solo il particolato fine provoca oltre 47.000 morti premature ogni anno in Italia, aggravando patologie respiratorie e cardiovascolari. Le direttive europee sulla qualità dell’aria non sono “follie burocratiche”, come qualcuno le ha definite, ma strumenti per proteggere la salute di tutti e promuovere città più vivibili.

 

Il problema è che il governo sembra concepire ogni norma ambientale come un fastidio. Ogni misura per l’aria, il clima o la salute viene trattata come un’imposizione da evitare, rinviare o ridimensionare. Ne è prova l’atteggiamento mostrato anche sul fronte energia: in una recente intervista a 24Mattina, il Ministro Pichetto Fratin ha affermato che in Italia “non c’è soluzione” all’alto costo dell’energia, ignorando i 341 GW di richieste inevase per nuovi impianti rinnovabili e la riduzione della domanda di gas di circa il 20% annuo dal 2022.

 

La verità è semplice: se non si vuole agire, si dirà che non è possibile farlo. È la logica che sottende al rinvio del blocco Euro 5. La motivazione ufficiale – tutelare i redditi medio-bassi – è ingannevole. Limitare l’uso dei diesel più inquinanti nelle aree densamente popolate non danneggia i poveri, ma protegge tutti, soprattutto chi respira aria malsana ogni giorno.

 

Il messaggio lanciato, invece, è che l’auto privata viene prima della salute pubblica, e che l’inquinamento è un prezzo inevitabile da pagare. Un approccio “tossico”, che ignora soluzioni già sperimentate con successo in Europa e in Italia e costa moltissimo.

 

Dal 2011, l’Italia ha versato oltre un miliardo di euro in sanzioni europee per infrazioni ambientali non risolte: discariche abusive, acque reflue non trattate, roghi tossici. In molti casi, anziché correggere le violazioni, lo Stato ha preferito pagare le multe – a volte giornaliere – come fosse il prezzo dell’inerzia. È un danno doppio: per l’ambiente e per i contribuenti.

 

Con un miliardo di euro si sarebbero potuti acquistare migliaia di autobus elettrici, costruire centinaia di chilometri di ciclabili, o sostenere famiglie in difficoltà nel cambiare auto. Invece, si continua a spendere per non fare.

 

La transizione può essere giusta, se accompagnata da politiche intelligenti e ormai ci sono moltissimi esempi che lo dimostrano. In Francia, il leasing sociale ha consentito a famiglie a basso reddito di guidare un’auto elettrica nuova a partire da 100 euro al mese. Il successo è stato tale che i fondi sono esauriti in poche settimane. Il governo ha prima sospeso il programma ma poi promesso di rilanciarlo a settembre di quest’anno.

 

In Germania, molte città hanno affiancato alle ZTL investimenti su trasporti pubblici gratuiti o fortemente scontati. In Austria, l’abbonamento “Klimaticket” consente di viaggiare ovunque nel Paese con un unico pass conveniente. In Norvegia, gli incentivi fiscali hanno reso l’elettrico più vantaggioso del motore a combustione, grazie a esenzioni fiscali, parcheggi gratuiti e sconti sui pedaggi.

 

Anche in Italia si vedono buoni esempi. A Milano, dopo l’introduzione dell’Area C, i veicoli più inquinanti sono calati del 49%, mentre il PM10 si è ridotto del 18%. A Bologna, con il limite di velocità a 30 km/h, il NO₂ è calato del 29% nel primo anno, migliorando anche la sicurezza stradale. A Bergamo, i fondi del PNRR hanno sostenuto il rinnovo dei mezzi pubblici e il passaggio a flotte elettriche.

 

Questi interventi funzionano. Dimostrano che non serve scegliere tra mobilità, salute e lavoro: si può garantire tutto questo, e ridurre l’inquinamento.

 

Pur senza esagerarne l’importanza, possiamo dire che il rinvio del blocco delle auto Euro 5 rappresenta una ennesima scelta che rallenta un percorso necessario e inevitabile. Continuare a rimandare interventi su salute, aria, mobilità e, in generale, la lotta al clima impazzito significa accettare che a pagare il prezzo dell’inazione siano sempre gli stessi: le persone più esposte, i territori più fragili, le generazioni future. In Italia e in Europa non mancano le idee né gli strumenti per agire. Basta smettere di tirare il freno e scegliere, finalmente, di accelerare nella direzione giusta.

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